I primi 100 giorni di Trump e l’impatto sulle crypto
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A novembre, l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca era atteso con entusiasmo quasi religioso dai mercati e da buona parte della comunità crypto.
Il ritorno del Tycoon era stato salutato come l’inizio di una nuova era per Bitcoin e gli asset digitali. Ma cento giorni dopo, lo scenario è profondamente cambiato. Anche se non sattamente in meglio.
Le promesse da campagna elettorale hanno lasciato spazio a una realtà più sfumata, in cui le aspettative si sono scontrate con decisioni politiche poco lungimiranti e manovre di politica economica che hanno colpito duro sia Wall Street sia il comparto crypto.
E così, quello che doveva essere il mandato del rilancio si è trasformato — almeno finora — in una sequenza di scelte controproducenti e mercati in profonda sofferenza.
Eppure, a guardare oltre le apparenze, ci sono state anche novità importanti.
Da Bitcoin a 109.000 dollari al tracollo
L’idillio iniziale c’è stato. Il sostegno pubblico di Trump a Bitcoin, intensificatosi durante le ultime settimane della campagna elettroale, aveva fatto schizzare il prezzo a nuovi massimi. Il 19 gennaio, nel giorno dell’insediamento, BTC toccava i 109.000 dollari. Poi qualcosa si è incrinato.
A febbraio il valore era già sceso sotto i 100.000, per poi proseguire la discesa: 94.000, poi 86.000, fino agli attuali 78.000 dollari.
Un crollo che ha seguito da vicino quello degli indici azionari, zavorrati dalle tensioni geopolitiche e da una politica dei dazi che ha finito per raffreddare i rapporti con diversi partner commerciali e accendere lo spettro della recessione.
Nel frattempo, la tanto annunciata Riserva Nazionale di Bitcoin si è rivelata più uno slogan che un piano operativo. Inoltre, quando si è saputo che sarebbe stata composta esclusivamente dai BTC già in possesso dello Stato — sequestrati a criminali o recuperati da vecchie cause — gli entusiasmi si sono raffreddati.

L’idea di includere anche altcoin come Solana, XRP e Cardano ha finito per creare ulteriore confusione, trasformando un’iniziativa storica in un esercizio di equilibrismo politico.
A questo si sono aggiunti i meme token come $TRUMP e $MELANIA, lanciati tra mille polemiche e rapidamente precipitati in un mare di scetticismo e svendite, con conseguenze letali per gli ultimi acquirenti.
Nel momento in cui scriviamo, $TRUMP è scesa dell’82% rispetto al massimo storico di 75,35 dollari stabilito il 19 gennaio, mentre $MELANIA sta andando anche peggio, con un crollo di quasi il 97%.
Anche per un mercato abituato alle sorprese, tutto questo è sembrato troppo.
Uno spiraglio tra le nubi
Eppure, nonostante il quadro attuale, ci sono anche segnali che lasciano intravedere un possibile cambio di rotta. Le dimissioni di Gary Gensler dalla guida della SEC hanno smorzato la pressione normativa sulle criptovalute.
Molte delle cause contro gli exchange sono state abbandonate e le altcoin, per la prima volta dopo anni, non vengono più considerate delle security. In un contesto normale, sarebbe stato materiale da bull run.
Manca però ancora un elemento fondamentale: la chiarezza regolamentare. E finché non arriverà, il mercato resterà in sospeso, incapace di esprimere tutto il suo potenziale.
Una cosa però è certa: l’interesse di Trump per il settore crypto non è solo di facciata.
La sua famiglia è ormai pienamente coinvolta nel business degli asset digitali, con partecipazioni, piattaforme, ETF e progetti in cantiere. È difficile immaginare che il presidente possa remare contro i suoi stessi interessi. E questa, volendo, è una forma di garanzia implicita per chi guarda al medio-lungo termine.
La partita è tutt’altro che chiusa. Ma la luna di miele tra Trump e il mercato crypto, almeno per il momento, sembra essere finita.
Disclaimer: le criptovalute sono una classe di asset ad alto rischio. Questo articolo è fornito a scopo informativo e non costituisce un consiglio di investimento. Potresti perdere tutto il tuo capitale.





