Quanto è dannoso il mining di Bitcoin per l’ambiente? Tutta la verità!

Qual è l’impatto ambientale del mining di Bitcoin? Come fanno i miner a estrarre Bitcoin? Quanto sono effettivamente dannose le emissioni e quali i profitti legati a questa attività?
A seconda della persona o del CEO a cui rivolgere la domanda, il mining di Bitcoin e il suo impatto ambientale sono o inesistenti, o la cosa più dannosa da quando è stata lanciata la bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki.
Ma qual è la verità? Cerchiamo di fare il punto per capire se il consumo energetico di BTC è realmente eccessivo e se ci sia una reale convenienza nell’utilizzare il token.
Perché abbiamo bisogno di fare mining di Bitcoin?
Il mining di criptovalute potrebbe sembrare un concetto complesso o difficile da comprendere, ma è essenziale per il funzionamento di BTC. In sostanza, Bitcoin è un registro pubblico, una sorta di libro contabile digitale che registra ogni transazione effettuata sulla rete.
I miner sono coloro che svolgono il compito di convalidare e registrare queste transazioni. In realtà, il termine è un po’ fuorviante, poiché questi operatori non estraggono minerali ma, piuttosto, svolgono una funzione simile a quella di contabili che verificano e approvano ogni transazione sulla blockchain.
Ogni volta che un miner verifica e aggiunge un blocco di transazioni da 1MB alla blockchain, viene ricompensato con nuovi Bitcoin. Questo processo di verifica avviene attraverso un meccanismo chiamato “proof of work”, in cui i miner risolvono complessi problemi matematici per convalidare i blocchi.

Bitcoin si basa sulla verifica delle transazioni, non sulla fiducia. I miner non hanno bisogno di conoscersi tra loro, perché ciò che garantisce il funzionamento della rete è l’insieme di incentivi economici che spingono i miner a comportarsi correttamente. Finché gli incentivi rimangono, il sistema resta sicuro e funzionale.
Bitcoin ha un’offerta massima di 21 milioni di monete e, attualmente, ce ne sono in circolazione circa 19,9 milioni. Le ricompense per i miner, che attualmente ammontano a 3,125 BTC per blocco verificato, vengono dimezzate ogni quattro anni. Si prevede che questa ricompensa scenda nuovamente nel 2028, riducendo ulteriormente la quantità di Bitcoin distribuita.
Vale la pena fare mining di Bitcoin?
L’Indice di Consumo Energetico di Bitcoin di Digiconomist stima che una transazione di BTC richieda 1252 kWh per essere completata, un valore che equivale a circa 53 giorni di consumo energetico per una famiglia media degli Stati Uniti.
Una singola transazione di Bitcoin ha una carbon footprint corrispondente a quella di 842.000 transazioni con una carta di credito o 51.210 ore di visione di video su YouTube.

Questo solleva ancora una volta la domanda: ne vale davvero la pena o sarebbe meglio ridurre l’attività di mining?
Bitcoin rappresenta una rete globale di denaro senza precedenti, priva di un unico centro di controllo. Più miner ci sono, più la rete diventa decentralizzata. Di certo, però, l’effettivo consumo energetico è, almeno in parte, esagerato.
Il sistema di “proof of work” di Bitcoin è essenziale per il suo funzionamento; inoltre, è ciò che permette alla caratteristica principale di BTC – la decentralizzazione – di operare senza problemi.
Se ritenete che sia importante avere un sistema di denaro decentralizzato e funzionale, allora questi consumi giustificano comunque il suo valore.
Localizzazione dei miner
Determinare l’esatto impatto della rete rappresenta una grande sfida, perché non bisogna solo conoscere il fabbisogno energetico di Bitcoin ma anche sapere da dove proviene questa energia. La localizzazione dei miner è un dettaglio fondamentale per capire la qualità dell’energia che utilizzano.
Dal 2020, Cambridge fornisce approfondimenti dettagliati sulla localizzazione dei miner di Bitcoin nel tempo e come queste informazioni possano essere utilizzate per stimare il mix elettrico e la carbon footprint della rete.
La ricerca mostra che la percentuale di energie rinnovabili utilizzate per alimentare la rete Bitcoin è diminuita dal 41,6% al 25,1% a seguito delle azioni contro il mining intraprese in Cina nella primavera del 2021. In precedenza, infatti, i miner avevano accesso a una notevole quantità di energia rinnovabile (per una parte limitata dell’anno) quando operavano in Cina, come per esempio l’energia idroelettrica durante la stagione delle piogge. Questo vantaggio è stato perso quando i miner sono stati costretti a trasferirsi in paesi come gli Stati Uniti e il Kazakistan.

Queste località ora forniscono ai miner di Bitcoin elettricità principalmente basata su carbone o gas, il che ha inevitabilmente aumentato anche la carbon footprint dell’elettricità utilizzata. In concreto, l’intensità carbonica media dell’elettricità consumata dalla rete è aumentata da 478,27 gCO2/kWh in media nel 2020 a 557,76 gCO2/kWh nell’agosto 2021. La carbon footprint fornita dall’Indice di Consumo Energetico di Bitcoin si basa proprio sull’intensità carbonica.
Sfide principali nell’uso delle rinnovabili
È importante rendersi conto che, mentre le energie rinnovabili sono una fonte intermittente di energia, i miner hanno un fabbisogno energetico costante. Un miner ASIC di Bitcoin, una volta acceso, non si spegne finché non si rompe o diventa incapace di estrarre Bitcoin in modo profittevole.
Per questo motivo, i miner aumentano la domanda di base sulla rete. Non consumano energia solo quando c’è un surplus di energie rinnovabili ma necessitano comunque di potenza anche durante i periodi di carenza di produzione. In questi casi, i miner di Bitcoin hanno storicamente dovuto fare affidamento su energia proveniente da fonti fossili, che tendono a essere più stabili.
Ecco perché Bitcoin ed energie rinnovabili sono una combinazione inefficace…
Confronto del consumo energetico di Bitcoin con altri sistemi di pagamento
Per mettere in prospettiva l’energia consumata dalla rete Bitcoin, è possibile confrontarla con un altro sistema di pagamento come VISA. Secondo i dati forniti dalla stessa azienda, VISA ha consumato un totale di 740.000 Gigajoule di energia (da varie fonti) a livello globale per tutte le sue operazioni. Ciò significa che ha un fabbisogno energetico pari a quello di circa 19.304 famiglie americane. Sappiamo anche che VISA ha elaborato 138,3 miliardi di transazioni nel 2019.
Con l’aiuto di questi numeri, è possibile confrontare entrambe le reti e mostrare che Bitcoin è estremamente più energivoro per transazione rispetto a VISA. La differenza nell’intensità carbonica per transazione è ancora maggiore, poiché l’energia utilizzata da VISA è relativamente più “green” rispetto a quella utilizzata dalla rete di mining di Bitcoin. La carbon footprint per transazione di VISA, infatti, è di soli 0,45 grammi CO2eq.

Dal confronto emerge che sono 828.556 le transazioni VISA che potrebbero essere alimentate con l’energia consumata per una singola transazione di Bitcoin (1231,48 kWh). E 1.522.348 quelle con una carbon footprint pari a quella di una singola transazione di Bitcoin (686,87 kgCO2).
Naturalmente, VISA non è perfettamente rappresentativa del sistema finanziario globale. Ma anche un confronto con la transazione media non in contante nel sistema finanziario regolare rivela comunque che una transazione media di Bitcoin richiede migliaia di volte più energia.
Esistono delle alternative?
Il proof-of-work è stato il primo algoritmo di consenso a essere riuscito a dimostrare la sua validità ma non è l’unico! Algoritmi più efficienti dal punto di vista energetico, come il proof-of-stake, sono stati sviluppati negli ultimi anni. Nel proof-of-stake, sono i possessori di monete a creare i blocchi anziché i miner, eliminando così la necessità di macchine ad alto consumo energetico che producono il maggior numero possibile di hash al secondo.
Per questo motivo, il consumo energetico del proof-of-stake è trascurabile rispetto al proof-of-work. Bitcoin potrebbe passare a un tale algoritmo di consenso, il che migliorerebbe significativamente la sostenibilità ambientale. Si stima che un passaggio al proof-of-stake potrebbe permettere di risparmiare almeno il 99,85% dell’energia attualmente richiesta per far funzionare un sistema basato su proof-of-work.
Conclusioni

Il mining di Bitcoin è un processo fondamentale per il funzionamento della rete ma porta con sé anche implicazioni ambientali significative. Sebbene BTC rappresenti una forma di denaro decentralizzata e globale, la sua dipendenza dal sistema di “proof of work” comporta un consumo energetico elevato e, di conseguenza, una notevole emissione di CO2. L’intensivo utilizzo di energia da fonti fossili, soprattutto dopo il trasferimento dei miner in paesi come gli Stati Uniti e il Kazakistan, ha peggiorato ulteriormente l’impatto ambientale della rete.
Detto ciò, esistono alternative più sostenibili, come il “proof of stake”, che potrebbero ridurre drasticamente l’impronta ecologica di Bitcoin. Passare a un algoritmo più efficiente dal punto di vista energetico potrebbe non solo rendere BTC più rispettoso dell’ambiente ma anche preservarne la funzionalità e la decentralizzazione.
In definitiva, la domanda se il mining di Bitcoin valga il suo impatto ambientale dipende dalle priorità di ciascun individuo. Se la decentralizzazione del denaro e la sicurezza della rete sono ritenute essenziali, i benefici di BTC possono giustificare i suoi costi. Tuttavia, la crescente consapevolezza delle sue implicazioni ecologiche suggerisce che il futuro del mining potrebbe risiedere in soluzioni più sostenibili, in modo da ridurre il consumo energetico e l’inquinamento associato.






