L’IA lancia l’allarme: le criptovalute sopravvivrebbero a una guerra nucleare?
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Abbiamo interrogato il modello o3 di ChatGPT affinché valuti le potenziali conseguenze di tipo “cigno nero” – termine che si riferisce a un evento raro, imprevedibile e con impatto devastante – che un eventuale conflitto nucleare potrebbe avere sull’ecosistema globale delle criptovalute, in un contesto di crescenti tensioni tra Israele e Iran legate proprio alla questione delle armi nucleari.
Gli scenari principali considerati dal modello includono sia una guerra nucleare su vasta scala, sia un attacco nucleare tattico e localizzato. Secondo o3, quest’ultimo potrebbe causare l’interruzione immediata degli exchange regionali, dei nodi di rete e dei canali fiat di accesso ovunque avvenga l’attacco.
Caos nelle criptovalute in uno scenario di conflitto nucleare
In uno scenario più estremo, caratterizzato da uno scambio nucleare su larga scala, il modello o3 avverte che gli impulsi elettromagnetici (EMP) potrebbero disattivare le dorsali internet globali, costringendo le transazioni a dipendere da relè offline e sistemi di comunicazione satellitare di emergenza. Queste potenziali interruzioni sono state confrontate con i movimenti reali dei mercati crypto osservati durante i recenti attacchi aerei tra Israele e Iran.
Il 12 giugno, per esempio, il lancio di missili israeliani a Teheran hanno innescato una reazione brusca nei mercati delle criptovalute. Bitcoin è sceso di oltre il 4% in 24 ore, passando da 106.042 a 103.053 dollari, prima di stabilizzarsi intorno ai 104.370 dollari. La capitalizzazione totale del mercato crypto ha perso il 3%, con Ethereum e Solana in calo di circa il 7% e Dogecoin in ribasso del 6%.
Nello stesso arco di 24 ore, una massiccia ondata di liquidazioni ha spazzato via oltre 1,16 miliardi di dollari in posizioni a leva. È stata una delle giornate di trading più brutali per le criptovalute degli ultimi mesi.
Con gli investitori in fuga verso i tradizionali beni rifugio – come oro e petrolio – le criptovalute e altri asset ad alto rischio sono stati venduti in modo aggressivo. L’entità e la rapidità del crollo hanno confermato la tesi centrale del modello AI: gli asset digitali restano estremamente sensibili agli shock psicologici e di liquidità durante periodi di rischio geopolitico estremo.
Dalla discontinuità al collasso: come gli attacchi potrebbero compromettere le blockchain
In caso di un attacco nucleare tattico limitato, ChatGPT o3 ha osservato che:
“Sebbene exchange regionali, impianti di mining e canali fiat di accesso potrebbero subire interruzioni, la natura globale dell’infrastruttura blockchain contribuirebbe a preservare la funzionalità di base della rete.”
Tuttavia, l’impatto psicologico da solo sarebbe probabilmente sufficiente a provocare un calo rapido del 15-30% nei principali asset crypto, aggravato da vendite di panico e liquidazioni a cascata. A queste interruzioni a breve termine seguirebbe una fase di stabilizzazione, la cui durata dipenderebbe dall’entità dei danni fisici ed economici.
Al contrario, o3 prevede che:
“Uno scambio nucleare su larga scala, in particolare se accompagnato da impulsi elettromagnetici (EMP), rappresenta una minaccia ben più grave. Gli EMP potrebbero disattivare ampie porzioni di internet e delle infrastrutture elettriche globali.”
In uno scenario simile, la continuità delle blockchain dipenderebbe dalla disponibilità di relè satellitari, nodi off-grid e metodi alternativi di comunicazione. Anche se i meccanismi di consenso potrebbero sopravvivere tecnicamente in zone isolate, sarebbero probabili ritardi nelle transazioni, frammentazione dei registri e un grave degrado della rete.
In entrambi gli scenari, Bitcoin e altri network proof-of-work (PoW) sarebbero vulnerabili a causa della loro dipendenza da infrastrutture di mining ad alta intensità energetica, spesso concentrate in regioni specifiche.
“Blackout elettrici o interruzioni di internet nei principali hub di mining potrebbero paralizzare il throughput di rete e l’hash rate, rendendo il sistema temporaneamente inoperativo fino all’attivazione di ridondanze o al ripristino dell’energia di rete.” – ha spiegato o3.
Tuttavia, la natura decentralizzata di questi sistemi PoW lascia uno spiraglio di speranza: finché alcuni nodi restano operativi, un recupero completo rimane possibile.

Le reti proof-of-stake (PoS), come Ethereum, potrebbero invece avere un vantaggio strutturale in simili crisi. Consumano meno energia e dispongono di validatori distribuiti geograficamente, aumentando le possibilità di mantenere attivi consenso e operatività.
Tuttavia, la loro dipendenza da oracoli e feed di dati off-chain introduce nuove vulnerabilità: se gli oracoli falliscono, i contratti intelligenti sulle piattaforme DeFi potrebbero comportarsi in modo imprevedibile, portando a congelamenti degli asset, liquidazioni errate e gravi crisi di liquidità.
Perché le architetture decentralizzate potrebbero superare i sistemi centralizzati
Secondo ChatGPT o3, i sistemi costruiti su architetture decentralizzate con ridondanza integrata – come nodi collegati a satelliti, validatori alimentati a energia solare e reti mesh di relay – risultano più resilienti rispetto agli exchange tradizionali o alle piattaforme di finanza centralizzata (CeFi).
Tra i più promettenti si trovano le reti DAG (Directed Acyclic Graph). A differenza delle blockchain tradizionali, che costruiscono una catena lineare di blocchi, i sistemi DAG consentono a più catene o percorsi di evolversi simultaneamente. Questa struttura permette una maggiore velocità e flessibilità in situazioni di isolamento dei nodi o frammentazione della rete.
Oltre a queste, anche le classiche chain PoS come Ethereum 2.0, Polkadot e Cosmos sono considerate ad alta resilienza grazie alla diversificazione dei validatori e alla minore dipendenza energetica, fattori cruciali se la stabilità della rete elettrica venisse meno.
Nel frattempo, le stablecoin probabilmente subirebbero forti pressioni di rimborso, man mano che i canali fiat collassano e la fiducia nelle riserve degli emittenti vacilla. Le meme coin e i token puramente speculativi con scarsa infrastruttura o utilità crollerebbero quasi certamente, perdendo quasi tutto il loro valore in caso di crisi sistemica.

Criptovalute incentrate sulla privacy, come Monero e Zcash, invece, potrebbero registrare un’impennata improvvisa della domanda durante uno scambio nucleare. Questi token, pensati per resistere alla censura, potrebbero diventare strumenti finanziari essenziali per chi tenta di eludere controlli sui capitali o cerca anonimato in condizioni di guerra.
Afflussi in crescita si scontrano con gli avvertimenti dell’AI sulla fragilità della rete
Nonostante il caos, alcuni segnali suggeriscono una certa resilienza delle criptovalute, almeno negli scenari meno catastrofici. Gli ETF su Bitcoin, per esempio, hanno registrato afflussi per cinque giorni consecutivi, anche mentre il conflitto tra Israele e Iran si intensificava. Oltre 1,3 miliardi di dollari sono entrati in fondi legati a Bitcoin nell’ultima settimana, con 386 milioni affluiti nella sola giornata del 9 giugno.
Alcune voci del settore vedono in questo andamento una conferma dell’attrattività delle crypto nei momenti di stress geopolitico, anche se il modello di Intelligenza Artificiale segnala che, negli scenari peggiori, le infrastrutture tecnologiche e finanziarie verrebbero messe a durissima prova.
Il comportamento da “flight to safety” – ovvero la corsa verso beni rifugio – è ancora presente, anche se, nelle fasi iniziali del conflitto, il mercato crypto è stato trattato principalmente come un asset ad alto rischio. In uno scenario più grave, con un reale impiego di armi nucleari, l’esito è difficile da prevedere. Tuttavia, è diffusa la narrativa secondo cui le criptovalute, in particolare Bitcoin, possano fungere da copertura (hedge) in tempi di forte stress globale.
Nonostante questo, il modello o3 introduce un contrappunto a questa visione rialzista. L’IA suggerisce che, immediatamente dopo a un disastro nucleare, tutte le criptovalute subirebbero vendite violente, poiché gli investitori si rifugierebbero nel contante e nei beni rifugio tradizionali.
Detto questo, l’IA non dipinge un quadro interamente cupo. Superata la fase iniziale di caos, le differenze funzionali tra gli asset digitali cominciano a contare. Le criptovalute in grado di mantenere l’integrità della rete – tramite validatori decentralizzati, nodi connessi via satellite o meccanismi di consenso efficienti e distribuiti – potrebbero mostrare segnali di recupero, soprattutto in regioni dove l’infrastruttura bancaria tradizionale è danneggiata ma l’accesso a Internet è ancora disponibile.
Secondo le proiezioni, Bitcoin potrebbe dimostrare una certa resilienza nei prezzi rispetto ad altri asset. La sua ampia distribuzione, la semplicità dei suoi meccanismi di consenso e la sua credibilità storica gli conferiscono maggiori possibilità di sopravvivenza parziale, anche in condizioni estreme. Al contrario, le piattaforme più complesse o i token che dipendono fortemente da servizi off-chain potrebbero crollare in presenza di guasti infrastrutturali e interruzioni nei feed di dati.
In uno scenario del genere, si verificherebbero forti divergenze regionali. Nelle giurisdizioni in cui i sistemi finanziari collassano ma l’accesso online rimane, le criptovalute operative potrebbero persino iniziare a sostituirsi all’infrastruttura finanziaria tradizionale. Contestualmente è probabile che i governi rispondano in modi molto diversi tra loro, generando un mosaico normativo frammentato che influenzerà quali criptovalute prospereranno o falliranno a seconda dei territori.
Durante la fase di ricostruzione a lungo termine, il modello AI prevede una profonda rivalutazione della teoria del “digital gold”. L’oro, probabilmente supererebbe tutte le criptovalute all’inizio della crisi ma, se la rete di Bitcoin dovesse rimanere operativa almeno in parte del mondo, la sua utilità e il suo valore simbolico potrebbero favorire un rimbalzo più rapido, forse addirittura rafforzando il suo status di pilastro di un nuovo paradigma monetario.
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