Criptovalute e politica: strumento di libertà o rischio per la democrazia?
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Dagli Stati Uniti, passando per il Regno Unito e l’Argentina, le criptovalute sono entrate prepotentemente nel dibattito politico. Rappresentano un’opportunità o un pericolo per la democrazia?
L’ascesa dei leader politici pro-crypto
Le criptovalute stanno assumendo un ruolo sempre più centrale nelle campagne elettorali e nei programmi politici in diverse parti del mondo.
Donald Trump ha cavalcato questo fenomeno negli USA e non ha nascosto il suo interesse per le crypto nemmeno a livello personale ma il fenomeno è tutt’altro che isolato. I leader che puntano sulle crypto come leva strategica e politica si stanno infatti moltiplicando.
Nel Regno Unito, Nigel Farage – a capo di Reform UK – ha recentemente proposto una riduzione al 10% della tassazione sulle plusvalenze da criptovalute e l’istituzione di una riserva nazionale di Bitcoin gestita dalla Banca d’Inghilterra. La novità più rilevante è che il suo partito è il primo nel Paese ad accettare donazioni in criptovalute, purché non anonime.

Negli Stati Uniti, Donald Trump continua a ribadire il suo sostegno al settore, ed ha di fatto disinnescato la SEC, che sembra essersi fatta portavoce di una regolamentazione più flessibile. Il lancio della meme coin di Trump e altre scelte discutibili, stanno però minando la fiducia.
In Argentina, la “promozione” della moneta digitale $LIBRA da parte del presidente Javier Milei aveva generato un grande entusiasmo tra gli investitori ma il successivo crollo del token ha dimostrato quanto l’influenza politica possa risultare dannosa, con ricadute pesanti su migliaia di investitori. Il caso ha sollevato preoccupazioni sulla necessità di stabilire regole chiare nel rapporto tra potere politico e finanza decentralizzata.

Un’arma finanziaria potente, ma con conseguenze complesse
Le criptovalute sono uno strumento innovativo, tanto per il finanziamento dei partiti quanto per la promozione di agende economiche alternative. La loro natura decentralizzata e la promessa di emancipazione finanziaria rappresentano una rottura con i modelli bancari tradizionali. Emergono però anche seri interrogativi sul piano etico e legale.
La trasparenza è uno dei nodi centrali. L’iniziativa di Reform UK – che accetta solo donazioni crypto non anonime – vuole evitare il rischio d’ingerenza esterna, fenomeno facilitato dalla difficoltà di risalire all’identità dei donatori.
Pur essendo tracciabili, le transazioni blockchain possono diventare difficili da analizzare a causa di strumenti nati per proteggere la privacy, come i wallet intermedi, i mixer di criptovalute e le piattaforme DeFi, che ostacolano il lavoro degli inquirenti.
Quali sono i rischi per la democrazia?
Il pericolo più evidente rimane l’influenza estera nei finanziamenti politici, resa possibile dall’anonimato parziale e dalla complessità del tracciamento. Ma non è l’unico. Lo scandalo argentino che ha coinvolto Javier Milei, con pesanti perdite economiche e richieste di impeachment, è la dimostrazione concreta di quanto possa essere pericolosa un’interazione non regolamentata tra politica e crypto.
Eppure, la domanda iniziale rimane: è possibile regolamentare il settore senza snaturarne l’essenza?
Come si può conciliare l’ideale di una finanza libera e decentralizzata con l’esigenza di sicurezza e trasparenza che la democrazia impone?
Questo dilemma rappresenta una sfida cruciale per la politica del futuro, chiamata a integrare l’innovazione tecnologica senza trasformarla in strumento di manipolazione.
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