Tribunale cinese delibera che gli NFT sono una proprietà virtuale e vanno tutelati dalla legge

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Sead Fadilpašić
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Fonte: AdobeStock / Corgarashu

Un caso affrontato da un tribunale cinese è destinato a fare giurisprudenza sui token non fungibili (NFT), malgrado la richiesta del querelante, un acquirente di NFT, sia stata respinta. Secondo il tribunale infatti, i token non fungibili sono da ritenersi alla stregua di proprietà privata virtuale e per questo soggetta a tutela di legge.

La sentenza è stata espressa da un tribunale della città di Hangzhou, capitale della provincia cinese di Zhejiang, e riguarda una disputa su un contratto per l’acquisto di una collezione di NFT, come si legge nella dichiarazione ufficiale rilasciata dalla corte martedì scorso.

La corte ha stabilito che le collezioni di NFT possiedono le caratteristiche dei beni di proprietà, come valore, scarsità, controllabilità e comprensibilità, inoltre possiedono “caratteristiche uniche della proprietà virtuale sulla rete”.

Nella sentenza si legge:

“Il contratto riguardante il caso non viola le leggi e i regolamenti del nostro Paese, né viola le norme in vigore e le linee guida per limitare i rischi finanziari, e dovrebbe essere tutelato secondo la legge del nostro paese.”

Nella sentenza si chiarisce che gli NFT sono espressione della creatività artistica e il loro valore è tutelato dai diritti sulla proprietà intellettuale anche se sono stati realizzati come asset digitali su blockchain. E continua:

“Perciò le collezioni digitali di NFT ricadono nella categoria della proprietà virtuale […] diversa dagli oggetti tangibili o intangibili solitamente oggetto di contratti di vendita. Le collezioni NFT, un nuovo tipo di proprietà virtuale online, dovrebbero essere tutelate dalla legge in quanto oggetto di transazioni tra due parti.”

La corte ha inoltre evidenziato che, per quanto riguarda l’attribuzione legale delle collezioni NFT, la legge cinese “al momento non prevede una definizione chiara”.

In sostanza, la sentenza assume importanza perché equipara la vendita degli NFT a qualsiasi altra vendita di beni online nella categoria delle attività di e-commerce.

Compagnia contro Wang

La sentenza chiarisce che l’imputato è una compagnia digitale con sede a Hangzhou che gestisce una piattaforma e-commerce specializzata nella vendita di opere d’arte digitale. Il querelante è invece un utente della piattaforma, indicato con lo pseudonimo di Wang. L’oggetto del contendere è stata la cancellazione dell’acquisto di una collezione di NFT che Wang sosteneva fosse avvenuta senza il suo consenso.

Lo scorso febbraio, la compagnia aveva annunciato che una “collezione di NFT digitali a scatola chiusa” sarebbe stata venduta in quantità limitata. Aveva inoltre dichiarato che, per procedere all’acquisto, era necessario fornire il numero di telefono e “l’autenticazione con il propri dati reali” e che sarebbero stati annullati gli ordini senza il vero nome dell’acquirente o con informazioni personali sbagliate.

Wang sostiene di aver acquistato la Mistery Box per ¥999 (136€) dopo aver registrato il proprio numero di telefono e le informazioni personali, ma la compagnia non ha mai inviato la collezione. Ha invece provveduto a restituire il denaro a Wang 10 giorni dopo la transazione. L’acquirente ha quindi chiesto di portare a termine l’acquisto o, in alternativa, di ricevere un rimborso pari a ¥99.999 (13.618€).

D’altra parte, la compagnia ha dichiarato che il numero di telefono e le credenziali fornite da Wang al momento dell’ordine non erano corrette. Inoltre, secondo la compagnia, il contratto non era valido visto che non rispondeva ai termini fissati per l’acquisto. Infine, le box digitali della collezione NFT erano già state tutte vendute e quindi sarebbe stato impossibile ottenerne un’altra per Wang.

Richiesta respinta

Secondo la corte, l’annuncio emesso dalla compagnia al momento della vendita, comprese le istruzioni per effettuare le transazioni, davano ai potenziali acquirenti tutti gli estremi utili per presentare la propria offerta. Quando Wang “ha inoltrato l’ordine” con successo per una box a sorpresa, si impegnava a rispettare i termini di contratto tra le parti.

Inoltre l’annuncio chiariva il diritto della compagnia di annullare qualsiasi contratto le cui informazioni non fossero accurate. Nel caso di Wang la corte ha dichiarato che “la quarta cifra del numero di telefono e la sesta cifra della carta d’identità da lui forniti erano errate”.

Quando Wang ha chiesto che il contratto di vendita fosse rispettato mancavano quindi le basi legali per la sua convalida. Inoltre, dato che non è stato violato alcun contratto, anche la richiesta di risarcimento di ¥99,999 “manca di corrispondenza fattuale e base legale” quindi la corte non l’ha concessa.

Ecco perché la corte ha respinto la richiesta di Wang.

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