Acquisti in-game a rischio (anche crypto): un giro d’affari da $50 miliardi

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Lucio Prosperi
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L’Organizzazione Europea dei Consumatori (BEUC) ha presentato un reclamo contro alcuni publisher di videogiochi, accusandoli di pratiche ingannevoli relative agli acquisti in-game.

Il reclamo, presentato a nome di gruppi di consumatori provenienti da 17 Paesi, sostiene che i publisher stiano ingannando i consumatori, in particolare i più giovani, inducendoli a spendere somme eccessive per gli acquisti in-game.

Secondo il BEUC, gli acquisti in-game – che generano più di 50 miliardi di dollari di entrate all’anno in tutto il mondo – spesso nascondono i costi reali dei beni digitali, rendendo difficile per i consumatori capire quanto stiano effettivamente spendendo.

I bambini, che notoriamente spesso non hanno idea del valore dei soldi e sono irresistibilmente attratti dalla possibilità di ottenere un certo oggetto all’interno di un gioco, sono i più vulnerabili agli acquisti in-game. L’organizzazione afferma che i più giovani, in particolare, spendono in media 39 € al mese per questo tipo di acquisti.

Titoli popolari come Fortnite, Clash of Clans, Minecraft ed EA Sports FC 24 – che fanno degli acquisti in-game il loro principale modello di business – sono tra quelli menzionati nel reclamo.

Il BEUC ha chiesto ai regolatori europei di adottare misure più severe per proteggere i consumatori e, in modo particolare, i minori da queste pratiche.

Costi più trasparenti

Un esempio di oggetti di gioco che è possibile acquistare nello store di Fortnite

Una delle principali richieste del BEUC riguarda il divieto delle valute in-game a pagamento, come le “gemme”, i “crediti” o altri tipi di monete virtuali che i giocatori possono acquistare con denaro reale. Queste valute virtuali sono ampiamente utilizzate nei videogiochi per comprare oggetti o servizi – come skin, armi, potenziamenti o progressi extra – all’interno del gioco. Il problema che il BEUC evidenzia è che queste valute spesso nascondono il vero costo di tali acquisti.

Quando i giocatori usano queste monete virtuali invece di pagare direttamente con la valuta reale (come euro o dollari), diventa meno chiaro quanto effettivamente si sta spendendo. Le valute in-game sono spesso vendute in pacchetti che non corrispondono ai costi precisi degli oggetti nel gioco: si potrebbe, per esempio, acquistare un pacchetto di 500 gemme per 5 euro ma un oggetto potrebbe costare 550 gemme, spingendo i giocatori a comprare un pacchetto più grande, magari da 10 euro, per poter completare l’acquisto.

Questo meccanismo è considerato problematico perché:

  1. Confusione sui costi reali: I giocatori devono fare calcoli per capire quanto stanno spendendo in termini di valuta reale. Questa strategia sfrutta la psicologia dei consumatori, che possono perdere il senso della spesa effettiva.
  2. Senso di urgenza o necessità: Spesso i giochi creano incentivi o pressioni per acquistare rapidamente, per non perdere occasioni limitate nel tempo o per non rimanere indietro rispetto ad altri giocatori.
  3. Spesa incontrollata, specialmente per i più giovani: I bambini, con una limitata alfabetizzazione finanziaria, sono più vulnerabili e propensi a spendere denaro reale senza comprendere appieno le implicazioni economiche. Possono essere attratti dal desiderio di progredire nel gioco o di ottenere oggetti esclusivi senza rendersi conto di quanto denaro stiano effettivamente sborsando.

Il BEUC, quindi, propone il divieto delle valute in-game a pagamento proprio per eliminare questa opacità. L’obiettivo è che i giocatori vedano direttamente il prezzo reale degli oggetti o servizi in euro o dollari, senza la mediazione di una valuta virtuale che rende il processo di acquisto meno trasparente.

Questo approccio renderebbe più facile per i consumatori, soprattutto i genitori, controllare e limitare le spese.

Questa raccomandazione segue le conclusioni del Digital Fairness Fitness Check, aggiornato ad agosto 2024.

Inoltre, il BEUC sta sostenendo l’adozione di classificazioni di età più rigide per i giochi con acquisti in-game, una maggiore trasparenza sui costi e avvisi più chiari quando i giocatori stanno per spendere denaro.

“Le aziende non dovrebbero essere autorizzate ad aggirare le regole per massimizzare i profitti. I consumatori meritano trasparenza e i bambini, in particolare, devono essere protetti da pratiche sfruttatrici”, ha dichiarato Agustín Reyna, direttore generale del BEUC. “Il mondo virtuale del gaming deve rispettare le stesse regole di protezione dei consumatori del mondo reale.”

L’industria dei videogiochi reagisce

L’industria dei videogiochi ha immediatamente reagito a queste accuse.

Video Games Europe, un gruppo commerciale che rappresenta le principali aziende di videogiochi nella regione, ha rilasciato una dichiarazione difendendo l’uso delle valute in-game, sostenendo che gli acquisti di questo tipo sono una pratica consolidata e che gli sviluppatori rispettano le leggi europee a tutela dei consumatori.

Ha inoltre sottolineato che molti giochi offrono accesso gratuito, permettendo ai giocatori di provarli senza costi iniziali, e che l’industria segue il Codice di Condotta PEGI, garantendo che i costi reali delle valute in-game siano chiari al momento dell’acquisto.

Minecraft ha toccato l’impressionante numero di 141 milioni di utenti mensili attivi

Nonostante la difesa dell’industria, il reclamo del BEUC mette in evidenza la crescente controversia sugli acquisti in-game, specialmente in relazione ai giovani consumatori.

Secondo un rapporto del Parlamento Europeo del 2023, più della metà dei consumatori dell’UE utilizza regolarmente i videogiochi, con l’84% dei bambini di età compresa tra gli 11 e i 14 anni che interagiscono con giochi su dispositivi mobili, console o PC.

Data la scarsa alfabetizzazione finanziaria dei bambini e i fondi personali limitati, l’uso delle valute in-game rappresenta un problema significativo per i regolatori e i difensori dei consumatori.

Non è la prima volta che il BEUC si concentra sulle valute digitali nelle app. Nel 2021, l’organizzazione ha presentato un reclamo contro TikTok per l’uso di valuta virtuale, portando a modifiche su come venivano visualizzati gli acquisti.

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