5 cose da sapere sulle tasse crypto per non rischiare multe salatissime!
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La manovra del 2024 – e la conseguente riforma fiscale – hanno introdotto ulteriori modifiche riguardanti la tassazione e la compilazione della dichiarazione dei redditi.
Per cercare di orientarci meglio, ecco le 5 cose che è assolutamente necessario sapere riguardo alle tasse imposte sulle operazioni con criptovalute nel 2024.
1 – Agenzia dell’Entrate e criptovalute
Le criptovalute hanno rivoluzionato il mondo finanziario, introducendo un nuovo concetto di valuta: virtuale e decentralizzata. Queste monete esistono esclusivamente in forma digitale e vengono scambiate tramite reti informatiche decentralizzate. La sicurezza delle transazioni è garantita dalla crittografia, che protegge le chiavi di accesso e assicura la loro autenticità e integrità.
2 – Le tasse sulle crypto
In Italia, la tassazione sul reddito generato dagli investimenti in Bitcoin & Co è del 26%, una regola confermata anche dall’ultima Legge di Bilancio. È molto importate tenere presente, però, che questa tassa si applica esclusivamente se si genera una plusvalenza superiore alla franchigia, che è stata fissata a 2.000 euro nell’arco di tempo interessato. I guadagni inferiori a questa cifra, dunque, non saranno soggetti ad alcuna tassazione.
La franchigia tiene conto anche delle eventuali minusvalenze, ovvero nel caso il saldo risulti negativo – perché, per esempio, se con un’operazione si sono guadagnati 5.000 euro e con un’altra se ne sono persi 9.000, non sarà dovuta alcuna tassa.
Per calcolare la tassazione nel 2024, è essenziale considerare la base imponibile, che deriva dalla differenza tra il valore di vendita e il costo di acquisto delle criptovalute. È cruciale che vengano accuratamente documentati il costo o il valore di acquisto degli asset digitali, al fine di scongiurare eventuali discrepanze fiscali. In assenza di documentazione, il costo viene presumibilmente considerato pari a zero.
Un’interessante possibilità riguarda la rivalutazione del valore di acquisto al primo gennaio 2023, il che consente agli utenti di aggiornare il valore dei loro asset. Questa opzione comporta il pagamento di un’imposta sostitutiva del 14% ed è particolarmente vantaggiosa per coloro che hanno acquisito crypto a un prezzo più basso rispetto a quello attuale.
3 – Come dichiarare le criptovalute
Con l’avvento delle nuove normative fiscali, dichiarare le criptovalute è meno complicato. Una delle principali novità è l’introduzione di IVIE, IVAFE e dell’imposta sostitutiva sulle crypto nel quadro W del 730, scelta volta a semplificare gli obblighi di monitoraggio fiscale ed eliminare la necessità di compilare il quadro RW.
La compilazione del quadro W spetta a tutti gli investitori residenti in Italia al fine di consentire loro di comunicare i dettagli riguardanti le crypto possedute in wallet, conti digitali o altri sistemi.
In particolare, i contribuenti dovranno indicare il numero di giorni di detenzione, il credito d’imposta corrispondente al valore dell’imposta patrimoniale versata nel Paese in cui è situata la crypto e l’importo dell’eccedenza del versamento a saldo. Quest’ultimo valore rappresenta la differenza tra l’imposta dovuta e il totale degli importi versati con il modello F24.
4 – Le ammende per chi non dichiara
Con le modifiche apportate con l’ultima finanziaria, come abbiamo visto, a partire da quest’anno è necessario dichiarare le criptovalute quando si registra una plusvalenza che supera la franchigia di 2.000 euro nel periodo d’imposta.
Coloro che non adempiono a questo obbligo di legge sono soggetti a sanzioni che vanno dal 3% al 15% dell’importo non dichiarato.
Inoltre, è importante tenere presente che l’imposta di bollo relativa alle criptovalute deve essere versata annualmente entro il mese di aprile. L’importo da pagare è calcolato in base al valore delle criptovalute detenute al 31 dicembre dell’anno fiscale precedente.